Velebit
"Il Velebit che sembra da lontano un sipario bigio, gigantesco, è invece un complesso fantastico di monti, di colline, di picchi aridi, di vette rocciose, di vallate verdeggianti. Dal litorale croato, presso Carlopago, fino ai confini della Bosnia, con vette fino a 2000 metri dal livello del mare, esso forma una giogaia, un sistema orografico complicato: è un mondo a parte, con la sua fauna e la sua flora, coi suoi incanti caratteristici e la sua nota individuale affascinante. Un'escursione sul Velebit, da Obbrovazzo a Podprag e Mali Halan offre sensazioni potenti, indimenticabili. La strada comincia tosto a salire con dolci serpentine o parallele, come le chiamano i tecnici, preludiando ad una serie non interrotta di panorami alpestri, deliziosissimi; è una festa continua per l'alpinista, un'orgia di godimenti estetici per il ricercatore di meraviglie naturali.
— La strada monumentale — mi spiega il Tonci — non ha pendenze maggiori del 4 ½, al più 5%; venne costruita dal 1829 al 1831 ed inaugurata nel 1833. Vi lavoravano 600 uomini e percepivano 33 soldini al giorno. Mio padre, che era sorvegliante in capo, era pagato 50 soldini al giorno... l'ingegnere in capo riceveva un tallero, ossia due fiorini al giorno. Vi parrà strano che, mentre si costruiva la strada, si potesse morire d'inedia, avendo talleri in tasca, tale era la scarsezza di moneta spicciola. Mio padre poi mi raccontava che tutte le falde del Velebit erano, ai suoi tempi, boscose, mentre oggidì, come vedete, sono tutte aride; tanto che, per proseguire i lavori stradali, si dovette spesso usar mine, non solo contro i macigni, ma contro radici d'alberi giganteschi. — Come si spiega tutto ciò? — In gran parte codesta squallida aridità è dovuta ad ingorde speculazioni, e in parte al dente della capra e al vandalismo dei nostri montanari.
In fatto, tranne rari tratti boschivi, il Velebit è d'una squallidezza desolante; qua e là, qualche cespuglio, qualche breve convalle verdeggiante. Ecco tutto. Ma non ci si pensa, perchè ciò che maggiormente interessa l'alpinista, di primo acchito, è la strada. I suoi muri di sostegno, alti fin venti metri, sono tutti a secco, così arditi ed artistici, che oggidì un ingegnere tentennerebbe a progettarne. Più volte non si scorge l'uscita della strada, tanto è accidentato il terreno. E spesso la strada corre fiancheggiata da burroni spaventevoli. Che si salga sempre, ci si accorge dall'aria sempre più fina, più fresca, più frizzante. L'egregio Tonci mi dà altri dettagli: — Una delle vette più alte è Podprag, piccola stazione perduta tra le nuvole, dove noi sosteremo; dista da Zara 65 chilometri e s'erge a 3184 piedi sul livello del mare. Più su ancora, è Mali Halan, a 74 chilometri da Zara e a 3800 piedi dal livello dell'Adriatico. Strada facendo, incontriamo casolari in piccole valli verdeggianti, riparate dall'inclemenza degli elementi. Sono residenze estive dei montanari che vivono alle falde e riparano quivi col loro gregge nei mesi di siccità. Dalla mia visuale non ¡scomparvero, per lunga pezza, alcune vette grigie, ripide, diritte e unite come un mazzo di verghe. Mi sembravano le più alte del Velebit: mi pareva che più in là cessasse la giogaia. — Sono le così dette Tuline Grede, ma non sono le vette più alte: noi le sorpasseremo or ora, e ci rimarranno molto al di sotto. Codeste sono illusioni frequenti in simili paraggi alpestri.
Eccoci a Podprag, un altipiano alpestre fra le nuvole. La stazione è composta di tre sole case, tutte erariali; una per il maestro stradale, che è il nostro Tonci; la seconda è una specie d'ospizio, una vasta tettoia, per i viandanti; la terza è la casa parrocchiale. In mezzo alla stazione sorge un bel tempietto, di forme classiche, un Pantheon minuscolo; è una chiesuola votiva. Ci venne incontro il parroco, un fraticello francescano, cortese e compito. — L'ospizio è indispensabile — mi narra il Tonci — per ricoverare carovane e passeggeri nelle epoche delle bufere che qui infuriano diabolicamente. Sotto la tettoia possono riparare una ventina di carri e cento viandanti. Tutto fu disposto sapientemente dal monarca sotto il di cui regno si costruì la strada" (pp. 499-501).
"Più in su ancora, a Mali Halan, una colonna commemorativa segna il confine tra la Dalmazia e la Croazia. Pochi passi più innanzi, ci fermiamo alla casa del solitario maestro postale ungherese, chè la Croazia fa parte dei domimi della corona di S. Stefano. Ci fermiamo sulla vetta, ove infuria in permanenza il vento. Il contrasto tra i due versanti del Velebit rasenta il paradosso: il versante dalmato, nudo, desolante, squallido, roccioso; il croato, invece, è ricoperto da boschi di faggi altissimi, a perdita d'occhio. Di lassù si domina la Croazia militare, ossia le due provincie, Lika e Krbava: si scorgono, in mezzo ad ubertosa pianura, i ricchi villaggi San Rocco, San Michele e molti altri: in fondo, un'altra giogaia di monti, e pianure sconfinate e valli amenissime.
Picchiamo alla porta del maestro postale, il vegliardo Lazo Omcikus, famoso per la sua raccolta numismatica. Egli ce la mostra, dopo d'averci offerto un bicchiere di vino. È tutta classificata da un insigne archeologo dalmato. Sono circa 3000 monete, per lo più di rame e di bronzo, molte d'argento e d'oro, quasi tutte romane, qualcuna preziosissima. Il vecchio ne è geloso, perchè gli sono costate fatica e denaro: le acquistò quasi tutte in Dalmazia e Croazia. La sua è l'unica casa, lassù, all'infuori dei nidi d'aquile e di falchi... — Siete qui da molti anni? — gli chiesi. — Da circa cinquanta, e ne ho presto novanta. Ne ho passate delle belle! Ci fu un'epoca in cui per 12 anni non mi mossi da qui, neanche fino a Obbrovazzo o a San Rocco. Una volta, io e la mia famiglia abbiamo dormito 30 ore. Sapete come? Un mattino, all'ora che solevo alzarmi, vedendo che il sole non era ancora spuntato, mi rimisi a dormire. E così per parecchie volte. Che diamine, la notte era eterna? Finalmente, m'accorsi che la nostra casa era sepolta sotto la neve. Sfido io, potevamo bene aspettare l'alba!..." (pp. 504-505).