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Imago Dalmatiae. Itinerari di viaggio dal Medioevo al Novecento

Novegradi

"La mattina appresso partii da Smilcic per Novegradi che gli resta a nord, a circa 12 chilometri di distanza. La strada provinciale abbastanza malandata segna un pendio, giacchè dall'altipiano si scende al mare. Appena uscite da Smilcic, dopo un paio di chilometri, vi si presenta in tutta la sua imponenza, la grigia giogaia del Velebit: sembra un sipario gigantesco lambito alle sue falde dal canal della Morlacca e dal vastissimo mar di Novegradi. Giunti sul ciglio estremo dell'altipiano, apparisce improvvisamente Novegradi, come stesse in fondo ad una caldaia, compatta e raggruppata, quasi paventasse un assalto nemico. […].

Mi venne incontro affabilmente il podestà di Novegradi, Gregorio Ostric, ed altri amici si posero a mia disposizione. In loro compagnia visitai le poche tracce del castello e salii fin su alle rovine della fortezza, da dove l'occhio abbraccia un panorama delizioso: il mar di Novegradi sembra un lago chiuso. Il castello, costruito nel 1282 dal conte Giorgio Kuljakovic, un don Rodrigo di quei tempi, aveva forma quadrilatera: più tardi i veneti ne prolungarono le mura fino al mare e ne battezzarono il viale di mezzo col nome di corsia. L'importanza storica di Novegradi ha il suo punto culminante nell'eccidio della regina Elisabetta d'Ungheria, avvenuto tra le mura del castello. La cosa però non è accertata ed anche ultimamente tra i due storici dalmati, Benevenia e Giuseppe Alacevic, festeggiatissimi entrambi, ebbe luogo una polemica dotta ed animata su questo argomento: il primo sosteneva che la regina ungherese venne trucidata per ordine del priore Palisna; il secondo, con documenti ed argomenti non meno vittoriosi, potè provare il contrario, che Elisabetta, cioè, non venne trucidata. Il fatto sarebbe avvenuto il 1° agosto 1385. […].

I novegradini moderni vivono d'agricoltura e di pescagione: di quest'ultima sono ricchissimi il loro mare e quello di Karin che ne è la continuazione. Le ostriche dei due mari interni godono fama europea: io ne vidi una che pesava oltre un chilogrammo: in generale i crostacei di Novegradi e di Karin sono prelibatissimi; lo stesso si dica del pesce tonno che, allettato da ottimo pascolo, viene quivi pescato in masse e venduto a Zara, in tutta la Dalmazia, a Fiume, a Trieste, a Venezia. Sventuratamente i novegradini, non essendo capitalisti, non possono tentare un'industria su vasta scala col tonno conservato; in certe epoche, quando la pesca è oltremodo ricca e la canicola cocente, ne gettano via, infruttuosamente, migliaia di chilogrammi.

— Dammi alcune informazioni sulla pesca del tonno! — pregai l'amico Vlatkovic. — Volentieri. Sono in paese otto tonnare ossia reti forti per la pesca del tonno; ognuna ha il suo nome, «Krilo», «Kozjak», ecc., dal posto che le è assegnato e che nessuno le osa contestare; con ogni tonnara vanno alla pesca 13 uomini, undici dei quali lavorano e due, i capi della pesca, si appostano su alture e spiano l'ingresso del tonno nella rete. I tonni, appena pescati, vengono sventrati, pesati, caricati su carri con la testa in su, che sembrano tanti bambini, ed esportati al mercato di Zara, o altrove. E l'utile è diviso in 21 porzioni: 5 al proprietario della tonnara, 11 agli undici pescatori, 3 ai loro due capi, una alla barca e una alla chiesa. Certe volte si pescano fino a 600 tonni in una volta, dai 15 ai 20 chilogrammi l'uno. Pur troppo, le retate d'agosto vanno spesso sciupate causa il caldo, nè fu possibile persuadere i nostri pescatori ad accedere ad un lavoro sociale, d'accordo con capitalisti esteri. In paese, causa appunto queste pesche fenomenali, tutti sono benestanti, o almeno non sono miseri, epperò non cercano il meglio. — In che stagione si fa la pesca del tonno? — Nella stagione calda, fino in autunno. Ma, per antica abitudine superstiziosa, le tonnare devono esser in mare il 5 agosto, giorno della Madonna della Neve. Magari il passaggio del tonno ha luogo molto più tardi: non importa, quel giorno tutte le otto tonnare sono in mare. Ti interesserà, forse, anche sapere che una tonnara costa da 500 a 800 fiorini e che si fabbrica qui in paese" (pp. 484-488).

"Anche a Novegradi mi sorprese un dettaglio etnografico degno di nota: i paesani, più che del morlacco o del montanaro, hanno dell'isolano, nel vestito, nel modo di parlare e di pensare. Pure, non si dicono boduli, ossia scogliani e non lo sono; riterrebbero anzi offensivo tale epiteto. Il peggio è che non sono nè veri scogliani, nè veri montanari, ma hanno un tipo psicologico tutto speciale, quasi che, confinati nel piccolo canale in fondo al mar di Novegradi, si fossero completamente isolati dal resto della Dalmazia. Il loro orizzonte intellettuale si limita alla pesca del tonno e dei famosi crostacei, e in ciò sono maestri" (p. 491).