Cattaro
"Cattaro si presenta al forestiero così pacifica e tranquilla, come stesse in un mondo a parte, nel quale nulla potesse entrare da oltre le Bocche. Si è tentati di dimenticare non solo che il golfo fu teatro di tante rivoluzioni attraverso tante epoche, ma che Cattaro è tuttora una città di confine, una tappa sul cammino di forze, di tendenze, di razze diverse. Però, se alziamo lo sguardo al monte Sella che la sovrasta, vediamo segni eloquenti del suo passato e del suo presente: essi ci rammentano la natura e la storia del paese. In alcune città di Dalmazia e della costa vediamo castelli innalzati su picchi e balze di montagne ad altezze spaventevoli. Ma il castello di Cattaro con le sue mura che, balzando di punta in punta, scendono fino al mare, è una delle più maravigliose fortezze di montagna ch'esistano. Il castello, così addossato alle rupi, colpisce più che se stesse sulla vetta di una montagna; e visto dalla cima del monte sembra un oggetto che stia di molto sotto i piedi; Cattaro, più sotto ancora, ci sembra l'ultimo confine del mondo. […].
Deve il suo nome attuale alla seguente circostanza: nell'867 d.C., Ascrivium distrutta ed incendiata, gli abitanti ripararono su una roccia vicina, donde, passato il furore dei barbari, calarono nuovamente alla riva e, aiutati da alcuni nobili della città bosnese, Kotor, riedificarono la città, rinunziando all'antico nome. Anche oggidì gli slavi la chiamano Kotor. […]. Dal 1420 fino alla caduta del leone di San Marco, Cattaro e tutto il suo vastissimo territorio, sotto il nome di Albania veneta, faceva parte integrante dei domini della Serenissima. Conviene rendere omaggio alla storia, rivelando che i bocchesi conservano tradizioni entusiastiche del dominio veneto, il quale, accontentandosi del possesso territoriale, a soli scopi di guerra, non tentava di snazionalizzarne la popolazione, nè d'imporre ad essa tributi eccessivi di sangue o di danaro. Notoriamente, i bocchesi offrivano il miglior contingente di marinai alla flotta veneziana; la coscrizione non essendo obbligatoria, quella bella e forte gioventù si arruolava volontariamente nelle forze navali della repubblica.
Oltre alla porta sulla marina, Cattaro ne ha altre due: porta Fiumara ad ovest, porta Gordicchio ad est: si chiamano così da due torrenti vicini. Il Gordicchio nasce in una grotta, ha breve corso e si riversa, da sotterra, nel mare. Interessantissima riesce una passeggiata fuori porta Fiumara, dove in un piazzale, alle falde del monte su cui serpeggia la vecchia strada montenegrina, si trova il bazar montenegrino. Potete, se vi diletta, fare studi interessanti di etnografia e di tipi montenegrini. Il bazar diede argomento a poesie e a novelle fantastiche. La vecchia strada, l'unica che traeva a Cettigne, è davvero un poema: non sembra fatta per esseri umani: è rocciosa, ripida, raggirantesi tra un panorama romanticamente selvaggio. A cavallo o a piedi, conviene arrampicarvisi. E pure i montenegrini la preferiscono all'altra, modernissima e carrozzabile, a serpentine, sul fianco orientale del monte Sella. Per essi non esistono difficoltà di terreno. Conviene vedere come profittano delle scorciatoie e come saltano da balza in balza, gareggiando colle capre e coi camosci. Da Cattaro a Cettigne un buon cavallo mette cinque ore: un montenegrino percorre, occorrendo, la stessa strada in meno di due ore, perchè i suoi garretti sono d'acciaio e la sua energia invincibile. Sul bazar, parecchie baracche servono di rifugio notturno a quei valorosi figli della Montagna Nera, quando infuriano tempacci o uragani. L'effetto di simili sconvolgimenti meteorologici è spaventevole, fra quei monti. Ma, a proposito delle baracche, mi fu raccontato un episodio stranissimo che caratterizza il popolo montenegrino" (pp. 310-313).
"Se volete arrampicarvi sul monte che copre Cattaro con le sue ombre, troverete, un po' più in su del forte San Giovanni, un enorme macigno incatenato. Esso pende, come un incubo, sulla città. Guai se si slacciasse: mezza Cattaro ne verrebbe distrutta. E pure, a quella minaccia perpetua nessuno pensa, tranne occasionalmente, discorrendone coi forestieri. Al di sopra del macigno si ammira un altro fenomeno naturale, meno allarmante del macigno-incubo: si ammira, cioè, una vasta grotta, inaccessibile, nella quale cresce un'alta pianta d'aranci che dà frutta saporitissime.
Sulla marina, un ritrovo piacevolissimo dei cittadini, vi si presentano, nel corso d'una sola giornata, due quadri etnografici e sociali così distanti tra loro, che il primo vi trasporta in pieno Oriente, l'altro in Occidente. Nelle ore mattutine, la parte occidentale della marina si trasforma in bazar, dove le paesane dei dintorni portano ortaglie ed altri prodotti dei loro campi. Lì studiate costumi e abitudini primitive, oltremodo originali. Per esempio, una campagnuola non trascura mai, incontrando un suo conoscente, di baciargli la mano. Vi sorprende codesta costumanza; ma conviene notare che, in quei paraggi, l'uomo è il junak (l’eroe), un essere privilegiato che infonde venerazione alla sua donna e alla donna in generale. L'assioma vi riesce più comprensibile quando lo vedete illustrato nel seguente bozzetto: per via, incontrate spessissimo un uomo a dorso di mula, con la pipa in bocca; e dietro a lui, la sua donna a piedi, carica di un sacco che la schiaccia. Nè essa accetterebbe che il suo uomo se ne andasse a piedi e sulla mula si caricasse il sacco pesante. E, nel bazar stesso, badate all'atteggiamento umile, modesto, incondizionatamente sottomesso delle femmine verso i maschi, e il fare altero, superbo, indifferente di questi ultimi verso la donna.
La sera, invece, l'altra metà della riva formicola di cittadini che, nel tratto e nella toeletta, sfoggiano una nota altissima di progresso, di mondanità, di finezza sociale. Oltre alla lingua nazionale del paese, odi parlare l'italiano con lieve accentuazione slava. È la Cattaro moderna che sfila sotto i vostri occhi. Ma il contrasto col quadro ammirato la mattina è davvero sorprendente. Sul bazar quei campagnuoli divorano con voluttà un tozzo di pane nero con un po' di formaggio o di aglio; nel caffè Cosmacendi, con annesso parco, la cittadinanza civile esige gelati e le bibite estere più squisite. La donna, sul bazar, è considerata poco meno, o poco più d'una bestia da soma: al caffè, la damina bella è corteggiata da uno stuolo di cavalieri cortesi, premurosi, eleganti.
Entriamo in città. Sono parecchie piazze, piccole, sì, ma ben selciate e pulite. Lo stesso si dica delle vie: strettissime, ma nette e non così accidentate come quelle di Traù e di altre città dalmate. I 5000 cattarini godono fama di ospitalieri, nè mai vi lascieranno uscir dalle case loro, senza offrirvi un caffè, o imitarvi a pranzo. Lo stesso si dica dei 25,000 abitanti delle Bocche di Cattaro, in modo speciale di quei di Zupa. A Cattaro l'Albergo alla città di Graz offre al forestiero comodità e conforti. […]. Mancano a Cattaro, come pure nelle Bocche, monumenti rilevanti di storia e d'architettura. L'archeologo può chiudere il suo libro di appunti. Nel duomo è ammirabile, per i suoi marmi e per i dipinti, la cappella dedicata a San Trifone, il patrono della città. Nel suo giorno si festeggia una solennità patriotica, e il corpo della marinerizza — composto di cittadini vestiti con abiti scintillanti marinareschi — eseguisce un programma di danze, di spettacoli medioevali, di feste superbe" (pp. 315-317).