Gravosa
"Come il piroscafo, dal canale di Calamotta, entra nel porto di Gravosa, vi si presenta un panorama incantevole. Quel porto, uno dei più antichi acquisti della piccola repubblica [di Ragusa], distante dalla città un paio di chilometri, porge un aspetto così ameno e contorni così deliziosi, da sembrare una baia romantica. Chiuso all'ingresso dallo scoglio Daxa, fiancheggiato a sinistra da alti monti alpestri e a destra dai colli verdeggianti del promontorio Lapud, il porto di Gravosa è un paesaggio ridente.
Qua e là, sparpagliati sui verdi colli, villini e casine e parchi e giardini privati; lungo le due rive, due file di case nitide e biancheggianti. È tutto ciò che rimane del fiorente emporio commerciale e marittimo della repubblica: le vicende storiche ridussero oggimai Gravosa ad un paesello, ma il profilo superbo che le diede l'artista invincibile, la natura, rimase inalterato, ad edificazione del senso artistico.
Se alziamo gli occhi ed ammiriamo le colossali fortificazioni sulle cime dei monti circostanti, comprendiamo tosto che il possesso di Gravosa era ritenuto prezioso dai republicani ragusei. Più volte, infatti, i veneziani, gelosi della prosperità di Ragusa, tentarono di sbarcare a Gravosa. Era questo il punto strategico più esposto della repubblica ragusea.
Due sposi innamoratissimi, svizzeri, escono frettolosi dal piroscafo, prendono una vettura e si recano ad Ombla. Avevano passata la prima luna di miele a Ragusa e ritornavano da una breve escursione a Spalato. Nella fioritissima vallata d'Ombla, il di cui profilo, appena intravveduto, entrando nel porto, vi affascina, s'erano creato un nido idillico, ed avevano deciso di passarvi un paio di mesi" (pp. 266-267).
"A Gravosa, […] un calessino, o una vettura ci condurrà in meno di mezz'ora a Ragusa. Sono veicoli molto decenti, tirati da cavalli piccoli, ma nervosi. Per un calessino a due posti, si pagano 50 soldini, per una vettura a quattro posti, si paga un fiorino, più qualche spicciolo di mancia. Sono discreti e cortesi anche i vetturini, a Ragusa. L'incanto del porto pittoresco di Gravosa e della voluttuosa vallata d'Ombla non si romperà ancora mentre salirete l'erta via carrozzabile che da Gravosa trae a Ragusa. D'ambo le parti, brevi campagne e colli verdeggianti, col contorno di casolari sulle falde montane. Tutto un panorama placido e mite, fino al punto più alto del pendio, alla Bella Vista, da dove la strada comincia a scendere verso la città. Ma Bella Vista ricorda Sorrento e le più vantate riviere della costa greca ed italica. Su quel punto si apre la vista superba del golfo infinito, un miraggio incantevole. La strada sta a picco, su ripide roccie. Contro di esse il mare si frange rumorosamente, gorgogliando in piccole grotte. Da lì, che il mare sia tranquillo o appena increspato di mite brezza o infuriato, il panorama non perde nulla del suo fascino. A destra un sentiero campestre conduce al santuario della Madonna delle Grazie. Quante madri, e spose, e sorelle, implorarono da quella Madre di Dio un felice ritorno ai loro cari, vaganti su lontanissimi mari! Se guardate dinanzi a voi, vi si presentano i primi colli fioriti della penisola su cui sorge Ragusa: sono boschi di lauri, sono magnifici esemplari di cactus, di aloè, di palme, sono rosai rigogliosi, gruppi di piante esotiche che vi trasportano in piena Nizza. Bella Vista è la meta delle passeggiate dei ragusei: essa illustra splendidamente il suo nome, e se lo merita" (pp. 269-270).