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Imago Dalmatiae. Itinerari di viaggio dal Medioevo al Novecento

Zara

"Zara, sotto molti aspetti e per molti motivi, non personifica la Dalmazia. […]. Essa ritrae i suoi lineamenti sociali ed etnografici da un contingente di cittadini ch'ebbero educazione universitaria all'estero, dalla sua destinazione politica a capitale, dall'agglomeramento di funzionari pubblici, indigeni e stranieri. Non vi sorprenda incontrare, a Zara, brigate che parlino tedesco, altre che discorrano in islavo, altre ancora che conversino in italiano, o in dialetto veneziano. È, del resto, la sola oasi prettamente italiana in paese slavo. E con ciò non intendo affermare che nel resto della Dalmazia non si conosca l'italiano: lo si conosce e lo si parla benino da tutte le persone civili. Ma il nucleo della popolazione, nel rimanente della Dalmazia, ha un'impronta nazionale eminentemente slava. […]. Sotto questo aspetto, Zara, con la sua impronta tuttora italiana, non potrà esser mai il centro d'irradiazione per tutta la Dalmazia. Sì, Zara abbonda di caffè elegantissimi, di ristoranti, di hotels, di clubs animatissimi, di ritrovi aristocratici: essa subì tutte le evoluzioni stabilite dalla civiltà moderna: l'arte e la natura ne fecero una piccoia Parigi. Zara, però, come è la capitale politica e civile della provincia, non ne sarà mai il modello morale ed etnografico. Zara è una superba testa che, per i suoi lineamenti fisionomici speciali, non si adatta alla natura del suo bellissimo corpo, la Dalmazia. Così, quando si parla di costumanze dalmate, di tratti etnografici dalmati, non si deve pensare a Zara, bensì al montano della Dalmazia, dove il popolo non entrò ancora nella fase evolutiva moderna. Si sa bene, la civiltà livella progressivamente tutto. È il caso non solo di Zara, ma di tutta la costa dalmata, compresa quella delle isole, dove certe abitudini primitive e caratteristiche, cadono sempre più in disuso. A memoria d'uomo, a Zara se fazeva la veia (si faceva la veglia) al morto. Adesso una famiglia zaratina che si rispetti, quando sia colpita da una sventura funebre, ne manda la partecipazione ad amici e conoscenti, pregando d'esser dispensata perfino da visite di condoglianza. Proprio come a Parigi. Nel montano della Dalmazia, invece, tra i morlacchi, un caso di morte è una doppia sventura per la famiglia che n'è colpita. Prima di tutto, la perdita d'una persona utile e cara; poi, nelle quarantotto ore in cui il morto giace in casa, questa è aggredita da parenti, conoscenti ed amici, come da cavallette, chè ognuno vi gozzoviglia in permanenza, finchè il morto sia sepolto. E, dopo la funzione finale, si ritorna alla casa sventurata e vi si banchetta ancora, finchè vi son provviste e vino nelle cantine" (pp. 55-58).

"L'«Iris» entra nel vasto porto di Zara. Sulla marina spaziosa, dallo sfondo verde, una folla di curiosi attende l'arrivo del piroscafo, lo sport gratuito di tutti i piccoli paesi. I compagni di viaggio sono affaccendati a porre in assetto le loro valigie. Quasi tutti rimangono a Zara, per poi proseguire il viaggio lungo la Dalmazia, il giorno appresso: chè Zara abbonda di comunicazioni marittime, come, invece, manca affatto di comunicazioni ferroviarie. Il «carro della civiltà» non giunge fino a Zara. Non importa: Zara presenta allo straniero un coefficiente così insigne di civiltà, da degradare parecchi altri centri mondiali più grandi, più vantati, più noti. Zara è un'oasi deliziosissima, in cui tutte le forme di progresso e di modernità allignano rigogliosamente, affermando in tal modo gli antichi diritti di quella vetusta città al suo posto d'onore nella storia civile dei popoli.

È la prima tappa dei viaggiatori su terra dalmata. La prima impressione che lo straniero ne ritrae è che la Dalmazia non è poi una terra tanto strana, nè tanto dissimile dagli altri centri civili d'Europa: le città che orlano la costa dalmata rassomigliano abbastanza alle città italiane sulla riva opposta. Però l'impronta italiana che caratterizza Zara, si va man mano perdendo, quanto più ci si allontana verso sud: le altre città del litorale dalmato sono sempre meno italiane e più slave. Il dialetto che si parla a Zara ricorda esattamente il dialetto veneziano e, percorrendo la città, non è difficile incontrare tipi che sembrano scappati da un «campiello» di Venezia. La città, oggidì capitale della Dalmazia, come lo fu in quasi tutte le epoche storiche, sorgeva su una penisola. I veneziani, durante il loro dominio, ne fecero, per iscopi strategici, un'isola, cinta da mura e da grossi bastioni, ed unita alla terraferma per mezzo di un ponte. Sui vari punti dei bastioni, come pure sulle due porte principali, pompeggia tuttora il leone alato. Finchè Zara era una città fortificata, le mura erano munite d'un centinaio di cannoni; nel 1868, dichiarata Zara una piazza non fortificata, quelle mura vennero ridotte a passeggio graditissimo, vagamente ombreggiato da filari d'alberi. Dopo aver percorso l'interno della città, dalle vie piuttosto strette, ma selciate e pulite, lo straniero farà bene intraprendere una passeggiata sulle mura, per ammirare uno dei panorami più vari e più deliziosi che possa offrire una città marittima: verso nord, al di là del porto e della marina vecchia, lo sguardo si ferma sur [sic] un dolce altipiano con lo sfondo dell'arido Velebit, una giogaia altissima che separa la Dalmazia dalla Croazia; a nord-ovest, s'apre il golfo dall'orizzonte infinito, coi suoi azzurri miraggi; a sud-ovest, l'isola di Uglian, dalle linee pure e ondulate, forma il delizioso canale di Zara, e sulla sua vetta più alta il castello di San Michele; verso sud e sud-est la campagna aperta finisce, lontano, in un altipiano. […]. In un punto, verso sud, di fronte agli scogli, ove un buon tratto di mura venne smantellato, si estende la riva nuova, ad arco, lunga circa 800 metri, con una fila di caseggiati modernissimi e sfarzosi, interrotti da un breve, ma rigoglioso giardino pubblico. Quella riva, nelle ore mattutine, è il convegno del fior fiore dell'intelligenza e del censo. Sembra di trovarsi in un salone aristocratico […]. In quella direzione, a meno di un chilometro dalla città, biancheggia il grosso villaggio di Borgo Erizzo, abitato da albanesi autentici. […]. A Zara incontrerete albanesi tutti i giorni, a tutte le ore. Le donne portano al mercato delle Erbe ortaglie, fratta, erbaggi, legumi. Le ragazze lavorano alle fabbriche, in qualità di giornaliere, e si guadagnano da 60 a 80 soldini al giorno. Son belle, quasi vezzose, nel loro costume pittoresco, a colori vivi. Dal giorno che si sposano non rimettono più piede in una fabbrica, ma rimangono alle case loro, e ben presto, ahimè, appassiscono. Gli adulti accudiscono ai lavori del campo e sono agricoltori attivi, energici, intelligenti. Posseggono campi e vigneti a distanze di dodici e più chilometri dal loro paesello, e vi si recano, nei giorni del lavoro campestre, su carri, ed anche a piedi.

Oltre che del suo magnifico panorama, Zara può vantarsi del suo verde contorno. Poche case private posseggono giardini; in compenso il giardino pubblico è piccolo, sì, ma ricco di viali ombreggiati. […]. Fuori città, al di là del ponte che la congiunge alla terraferma, su un vastissimo bastione, «il forte», si ammira un parco di data recente che sarà, col tempo, il ritrovo prediletto dei zaratini. È dovuto ad un'idea brillante del generale Blazekovic, che resse per breve tempo i destini di Zara, in qualità di luogotenente civile e militare della provincia. Reso inutile il forte, pensò bene d'utilizzarne l'area, e in soli due anni, dal 1888 al 1890, ne fece un parco delizioso, con migliaia di piante resinose e con oltre quattro chilometri di viali capricciosi. Vi si respira un’aria pura, balsamica, olezzante. […].

Così, la capitale di Dalmazia — coi suoi giardini pubblici, con la passeggiata delle mura, col suo parco Blazekovic, col bosco di pini, con le sue vie ben selciate, e i suoi ricchi negozi, e le sue vaste piazze, e i modi urbani, cortesi, obbliganti dei suoi 12,000 abitanti — induce, di primo acchito, lo straniero a ricredersi, se, caso mai, riteneva la Dalmazia un'appendice della Siberia o della Beozia. Tant'è vero che non è raro incontrare a Zara viaggiatori di lontani paesi, principalmente inglesi, i quali attraversino le vie della città con un fare di gente curiosa, impaziente, attonita. Cercano, ad occhi spalancati, ciò che non trovano: la selvatichezza della Dalmazia, gli zulù dalmati, di cui s’erano formato un concetto quasi iperbolico..." (pp. 28-33).  

"Nella superba Jadera dei romani, esistevano edifizi monumentali di varie forme architettoniche e riccamente adornati. E [insieme al] Bulic, […] il dotto direttore del Bullettino archeologico, […] ci spingeremo nelle vaghe sfere del passato, evocando glorie, personaggi ed eventi. Fra i vecchi monumenti di Zara — egli scrive — la chiesa di San Donato è, senza dubbio, il più grande e il più importante. […]. Nel 1798, questa chiesa monumentale venne destinata, come sapete, a magazzino di vettovaglie e divisa in più piani. In tale occasione fu spogliata degli oggetti più preziosi. I gradini della scala santa, per esempio, vennero portati dapprima nella cattedrale, indi nel campanile. Nel 1870, si restituiva la chiesa a disposizione dell'amministrazione della cattedrale; poi venne affittata ad una società enologica! Nel 1877, levate le travature e il pavimento cristiano, e distrutte le centinaia di topi che da un secolo vi spadroneggiavano, venne ridotta a museo. Tutto ciò sembra fantastico, ed è storico. Ed ora, in quel museo, si stanno raccogliendo le antichità romane, rinvenute nel distretto di Zara. L'eruditissimo Glavinic ne ha un gran merito. […]. — Sì, tutti questi oggetti sono rari, belli, importanti, preziosi; ma l'oggetto più bello, più raro, più prezioso è il museo stesso! — esclamò il Glavinic, mentre ci congedavamo" (pp. 43-45). 

"I 12,000 abitanti di Zara vantano tre santi protettori: s. Anastasia, s. Grisogono, s. Simeone. E sono tre epoche storiche: s. Anastasia è bizantina; s. Grisogono rappresenta l’epoca del regime municipale autonomo; s. Simeone è d’origine veneta. […]. Agli amatori della pittura classica, il duomo di Zara porge parecchi dipinti di buon pennello: nella chiesa di San Francesco, una pala di Vittore Carpaccio, una di Palma il giovane, un'altra di Sebastiano Ricci, e, dietro l'altar maggiore, un affresco ammiratissimo del pittore zaratino Salghetti-Drioli, morto pochi anni or sono. Ricchissimo, coltivava la pittura per impulso artistico, per diletto, per sport; e quando perdette la moglie, eseguì quell'affresco, nella di cui parte inferiore, l'artista, circondato dai suoi numerosi bambini, piange sul feretro della sua defunta. Un lavoro ammirabile per espressione geniale e per colorito. Ci lavorò dieci anni. In fine, nella chiesa della Madonna del Castello, si conservano alcuni buoni dipinti della scuola veneta. Fra le opere monumentali di Zara profana meritano speciale menzione i Cinque Pozzi e la nominata torre pentagona del Bo' d'Antona. […]. 

 — Facciamo un giro di Zara veneta? — mi disse un giorno l'amico Feoli, un pubblicista altrettanto insigne per i suoi talenti, quanto per le sue stravaganze. E ci recammo attraverso le vie del Teatro, del Monte e di San Simeone, la parte meglio conservata di Zara veneta, ammirando ampi e spaziosi atrii, gradinate all'aperto con balaustrate molto ricche, finestre bifore a sesto acuto, pergolati con mensole molto pregiate, cortili, parapetti e ballatoi con graziosi motivi decorativi, prettamente veneti. Insomma un cantuccio parlante della città lagunare. Rimarchevole monumento veneto è la porta di Terraferma, eretta sui disegni del Sammicheli, in istile del rinascimento. Adorna d’uno stupendo leone alato, ricca di fregi, di decorazioni molto armoniche, essa ricorda la porta tanto celebrata di Verona. […]. Zara moderna, come tutte le capitali, offre un amalgama stravagante di costumanze, di modi, di abitudini, di idiomi. Ha però il tipo di città eminentemente civile, non pure perchè v'è concentrata molta aristocrazia dalmata del censo e dell'intelligenza, ma perchè v'è annidata tutta la magistratura centrale, civile, militare ed ecclesiastica della provincia. I funzionari pubblici d'alto bordo, che ebbero educazione universitaria, danno al paese l'intonazione di correttezza, di dottrina, di intelligenza raffinata, di modernità. I paesani stessi che affluiscono a Zara dai dintorni, specie nei dì festivi, si studiano di comportarsi con la maggior grazia possibile. Fissano i loro appuntamenti in piazza delle Erbe, o sul canton, che è l'angolo formato dalle vie Santa Maria e San Michele, vicino alla chiesa di questo nome. Combinati i loro affari, finiscono all'osteria, o, per meglio dire, alla cantina, che, a Zara, è abitudine di vendere il vino al minuto in cantine, al prezzo indicato sur [sic] un foglio di carta, bianco o rosso, in cima ad una lunga canna, sporgente dalla porta delle cantine. Sventuratamente, le paesane che affluiscono alla piazza delle Erbe nei dì feriali, non emergono per soverchia pulizia. Non sono come le paesane di Ragusa, che non azzardano entrare in città, senza indossare biancheria linda di bucato. I ragusei ottennero ciò, con un mezzo molto semplice: per alcuni anni stavano appostate alle porte di città guardie apposite, il di cui còmpito era d'esaminare, se i paesani che desideravano entrare in città, fossero puliti. […]. Perchè non si potrebbero adottare le stesse misure preventive nella gentile Zara? Lo straniero ne trarrebbe un'impressione ancor più lusinghiera. La graziosa città ha pur tanti titoli autentici all'ammirazione del mondo civile. Per coglierla nelle sue manifestazioni pubbliche più geniali, basta assistere ad una rappresentazione nell'elegantissimo teatro Nuovo, o ad un liston dei dì festivi. Assistetti recentemente ad una recita dell'Ernani e ne rimasi altamente sorpreso, non solo per l'intelligenza musicale del pubblico, ma più ancora per lo sfoggio di lusso, per l'eleganza aristocratica nei palchetti, e per l'avvenenza delle zaratine. Rarissime città, che non siano le grandi metropoli, porgono spettacoli più sfarzosi. Il teatro era illuminato a giorno, e il fiore della cittadinanza vi s’era dato convegno e vi brillava sotto aspetto oltremodo festevole. E i listoni zaratini?... Rassomigliano, salvo la nota di modernità, al superbo quadro del Favretto. Nella via Larga, o in piazza dei Signori, vedete sfilare un mondo supremamente aggraziato: dame dal portamento principesco e maestoso, signorine vispe, gaie, slanciate come gazzelle; cavalieri galanti, perfetti, cortesissimi. Manco a dirlo, le mode più recenti, le stoffe più ricercate dànno l’intonazione all’ambiente. È un gusto squisitissimo di toelette, da gareggiare con qualunque altro centro europeo. Perfino le sartine […] sfoggiano, nel loro vestitino, ricercatezza ed eleganza. Senonchè, appunto codesto sfoggio quasi eccessivo di lusso non è il tratto etnografico più confortante di Zara. Esso ripete la sua origine dall'agglomeramento di i. r. impiegati, privi affatto di qualsiasi concetto economico. Vivono di giorno in giorno, spendendo quanto guadagnano: non sentono l'importanza del capitale, poichè non ne hanno un'idea; precipuo loro oggetto è l’apparenza esterna, unico loro sogno dorato la promozione. Se due impiegati dello Stato si trovano assieme, potete giurare che parlano della loro prossima promozione, dovuta, si capisce, ai loro meriti superlativi... Pur troppo, le risorse economiche di Zara si basano, in massima parte, sui 150,000 fiorini mensili spesi dagli impiegati. E ciò contribuisce ad un relativo impoverimento economico della città. Dove non fioriscono il commercio e l’industria, è inutile ricercare la benestanza pubblica in forme di risorse fittizie, com’è la paga dei pubblici funzionari.

La sola industria fiorente a Zara è quella del frutto di marasca, il celeberrimo e prelibatissimo «maraschino di Zara». Se ne esportano 300,000 bottiglie all’anno, in tutto il mondo, sotto tutte le latitudini geografiche. Rinomatissime, tra le altre fabbriche, quelle del Salghetti-Drioli, del Luxardo, del Calligarich. In questi ultimi vent’anni, il maraschino, grazie all’intelligente solerzia dei giovani proprietari delle su lodate ditte, prese uno slancio colossale: se ne beve alle tavole signorili della più alta aristocrazia d’Europa; se ne serve nei pranzi di gala a corte; se ne smercia in America, nelle Indie, nel Giappone, in China, in Egitto, ovunque. […]. Le altre industrie vivono stentatamente a Zara, un po' per mancanza di comunicazioni ferroviarie, un po' per la sfiducia del capitale: chi ne ha, lo tiene gelosamente rinchiuso nei forzieri. Fra i capitalisti zaratini forma lodevole eccezione il più forte di loro, Giuseppe Perlini, […]. È un fenomeno di intuizione e di slancio negli affari. Un'altra illustrazione di Zara è il suo podestà, il cavaliere Nicolò Trigari, un uomo che deve la sua posizione sociale unicamente alle risorse del suo acutissimo ingegno. Nato povero e ignoto, ora è ricchissimo di patrimonio e di aderenze. A lui Zara deve gran parte delle sue innovazioni moderne e da lui ancora molto attendono, con legittima fiducia, i zaratini. […].

Quanto al commercio di Zara, esso si limita ad affrontare le esigenze del consumo locale, o poco più. Quei commercianti sognano una congiunzione diretta col Danubio, come l'avevano gli antichi romani. Da essa il commercio zaratino si ripromette la sua risorsa suprema. Una ferrovia: ecco il voto più vivo d'ogni zaratino. Certo Zara ha comunicazioni marittime quotidiane con Trieste e Fiume: i battelli di molte imprese di navigazione — prima fra tutte il Lloyd — toccano Zara, nel di cui porto si concentrano talvolta sino a sette piroscafi. Ma non sono Trieste e Fiume gli emporii da cui la Dalmazia può ripromettersi vantaggi brillanti: è nell'Oriente europeo, nei Balcani, che i dalmati veggono il loro avvenire economico e commerciale. Quando il governo di S. M. avrà tempo e voglia d'occuparsi delle sorti economiche di Zara — come s'occupa presentemente delle sue condizioni politiche ed amministrative — non potrà trascurare il voto ardentissimo dei zaratini, sintetizzato in una comunicazione ferroviaria di Zara col Danubio. Il personaggio atto a sollevare le sorti economiche di Zara e della provincia c’è, ed è il generale David de Rhonfeld, luogotenente civile e militare di S. M. in Dalmazia. Nessuno sospetterà che la sua non sia una posizione oltremodo ardua. Fra i funzionari pubblici che occupano in Austria posizioni difficili, nessuno ha di fronte a sè un cumulo maggiore di problemi più gravi da sciogliere: il delicato problema politico, l'economico, l’amministrativo. Conscio della sua responsabilità dinanzi al capo dello Stato e, in pari tempo, dei suoi doveri verso una provincia i di cui destini dipendono dalla sua premurosa benevolenza. […]. Era arrivato da pochi mesi in Dalmazia e volli fargli un complimento. — Eccellenza — gli dissi, — i dalmati già sentono che sarete il genio benefico del loro paese... — Ne sono lieto — mi rispose col fare sincero di un uomo che sente la responsabilità d'ogni sua parola, — però non ebbi tempo ancora di far nulla, o quasi, per questa ammirabile provincia. Ad ogni modo, non feci male a nessuno...
Codesta riserva è una promessa. Ed essa si tradurrà in atto, se i dalmati e i zaratini vorranno contribuire essi pure, energicamente, al risorgimento del loro paese, badando un po' meno alla politica e un po' più agli affari" (pp. 47-54).

"A Zara si pubblicano i giornali politici più influenti della provincia: il Dalmata sostiene la causa degli autonomi; il Narodni List combatte per il diritto di Stato croato; lo Srpski Glas lotta per il diritto pubblico dei serbi. A Spalato esce il Narod e a Ragusa la Crvena Hrvatska, ambedue ultra-croati, come la clericale Katolicka Dalmacija che si pubblica pure a Zara. Ma se ogni frazione di politicanti dalmati dovesse avere il proprio organo, la Dalmazia sarebbe felicitata per lo meno da un centinaio di giornali, quod Deus advertat" (p. 60).