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Imago Dalmatiae. Itinerari di viaggio dal Medioevo al Novecento

Monte Biocovo

"Avendo il re stabilito di fare una peregrinazione botanica sul monte Biocovo, monte già decantato e classico da Portenschlag in poi, venne disposto il tutto per l’indomani, guide cioè per accompagnarci, e quanto poteva occorrerci. Il giorno susseguente dunque 5 giugno, alzati e pronti alle ore 3 del mattino, muniti di qualche cibo freddo pella giornata, con qualcosa di vino, ed acqua necessaria, non sempre da incontrarsi sul monte, si montò a cavallo per mezz’ora circa. Arrivati presso un piccolo villaggio si discese, erta ed a scaglioni presentandosi la salita. Di là cominciò la montata. Le persone di compagnia erano soltanto il colonnello di Mandelsloh ed io; s’aggiunse anche il sotto Serdar, onde sorvegliare l’ordine e buon andamento delle guide che ci accompagnavano; salimmo il monte che soprastà a Macarsca il quale fa agli altri sgabello, ed attraversammo il dorso di quegli altri accavallati, che di mano in mano incontravansi, onde arrivare alla punta più elevata di San Giorgio (Sweti Jure), la di cui altezza arriva a 5521 piede sul livello del mare.

L’asprezza del faticoso monte con difficile mal tracciato sentiero, interrotto sovente da vallate, burroni ed altro, ci fece spendere ben 8 ore, non essendosi trattenuti che brevi momenti qua e là, per osservare e raccorre quelle piante che sul cammino parevanci interessanti. […]. Arrivati sull’altipiano, dei tratti bellissimi di prati a pastura ricreavano lo spirito, oppresso alquanto dal calore, che da quelle nude balze cocente riverberava, e dalla sete sempre compagna. Le viste amene però, l’aria più elastica e leggera, quell’aura balsamica che si respirava, il contento aver gran parte superato i faticosi greppi, la speranza di arrivare presto alla prefissa meta, le piante che variavano ad ogni istante, faceanci dimenticare ogni tristezza. Qui trovavasi la Valeriana tuberosa, pianta che non manca ne’ prati presso Trieste ad un’altezza però assai minore, come anche l’Erythronium dens canis, il Crocus vernus, ed è perciò che presso noi ben prima fioriscono, cioè nel mese di marzo, o tutto al più sul cominciar d’aprile, per cui rivedendo tali piante in quella altezza mi fecero molto piacere; così la Primula Columnae, la Saxifraga repanda, raccolte da me più volte sul Monte-Maggiore in Istria.

Fra il bell’orrido silvatico di que’ monti, in cui natura spontaneamente alligna piante giusta l’indole del terreno, c’imbattemmo in due praticelli graziosi, disseminati a dovizia uno di Narcissus poeticus, che colle candide sue corolle abbelliva oltremodo lo spazio in cui si trovava, e spargeva soave olezzo; l’altro di Orchis sambucina var. incarnata, che co’ suoi fiori d’un bel rosso, destava ammirazione somma. Queste due località così ben fiorite e distinte piacquero tanto al re, che le nominò per celia, una prato di Narcisso e l’altra d’Orchis. […]. Già l’animo nostro si rallegrava per la vista della sommità di San Giorgio, che sembrava di là non assai discosta; ma restava ancora di superare una discesa profonda, piena di precipitosissimi quasi inacessibili burroni. Di questo arduo difficile passaggio, che ancora resta per arrivare alla punta di San Giorgio, non si accorge colui che sta sul Triglaw, ma appena quando alcun che s’innoltra" (pp 132-135).

"Dall’imo di questo luogo, non restava altro per arrivare al punto stabilito, che un’erta ascesa, la qual di là veduta pareva il monte che soprastava, fosse per così dire perpendicolarmente tagliato, la cui salita formata a gradini, da punte della roccia più e meno sporgenti, avrebbe avvilito a dire il vero, e scemato di animo chiunque nella nostra situazione; ma colla pazienza e costanza superammo anche questo, e giunsimo al punto desiderato, alla capella cioè di San Giorgio, Sweti Jure di quegli abitanti, posta su quella eccelsa prominenza. Le vedute dalla sommità del Triglaw erano incantevoli, imperocché si stendevano in molta lontananza dal suo versante all’est, o parevano metter confine a quel lontano orizzonte, dal nord al nord-est sin verso il sud nel territorio turco, con varie catene e giogaje di monti altissimi, alcuni ignudi, altri selvosi, tagliati a pico o di dolce pendio, colle cime biancheggianti di neve e terminavano di collina in collina. D’altro canto la bella corona di scogli, isole e promontorj sparsi nel mare vicino, spaziava lo sguardo alle sponde lontane d’Italia. Compariva il luogo d’ Jmoschi di facciata, in modo da poter noverare una ad una le sue case, il suo lago e varj altri oggetti. Queste scene pittoresche meglio si vedevano dalla eminenza isolata di Sweti Jure, la qual si estolle su tutte le altre nella serie di que’ monti. Qui il re godette moltissimo, e si diede a prendere in disegno qualcuna di quelle vedute" (pp. 136-137). 

"Il capo-guida nativo di Macarsca, per nome Matteo Damiano Glavicich, uomo fra que’ paesani benestante ed assennato, mi chiese, se osasse pregare il re d’una grazia, che sarebbe per que’ luoghi memorabilissima, d’incidere cioè sulla scorza d’un albero a guisa di quello veduto, l’augusto suo nome; mentre chi di là passasse, riguarderebbe come oggetto di somma clemenza non solo, ma nella cifra onorerebbe e rispetterebbe l’augusta sua persona. Il re udito ciò, mostrò di non esser lontano a volerlo compiacere; […]. Contento allora il capo-guida ed esultante, fece al miglior modo i suoi ringraziamenti. Rivoltosi poi a me e pieno di gioja mi disse: noi morlacchi, teniamo per sommo favore, la presenza d’un Monarca nei nostri paesi, imperciocché porta sempre fortuna e benedizione. […]. Quest’uomo allora tutto commosso si avvicinò a me, come avesse a confidarmi qualche gran mistero, cominciò a dirmi: poco fa gli favelava, che la presenza dei principi, delle teste coronate, portano ovunque vanno, fortuna e benedizione! Ecco signore, esclama, eccone la prova; io per esser stato scelto guida ad accompagnare quest’oggi il re, d’avvicinarmi alla sua augusta persona, ne sento per primo il benefizio; così perorando asciugatasi commosso gli occhi gonfi di lagrime. Ella vede, seguitava a dirmi, quelle pecore raminghe? erano da sei giorni smarrite; vanamente ne son andato in traccia, e le feci cercare da più pastori su questo monte: ora qui sole mi compariscono. Gli altri uomini di scorta 4 in 5, parlavano tra loro con massimo entusiasmo, adocchiando più che mai divoti e rispettosi la persona del re, il quale accortosi della sorpresa e dell’allegro trasporto del capo-guida Glavicich, mi chiese cosa fosse accaduto; raccontai in breve lo strano avvenimento, il qual proruppe col dire "Oh buona gente, gente da bene!". […]. Parrà strano di udire sentimenti sì rari e sì discreti nel rozzo morlacco, eppure sono cose di fatto, e se mancano a lui talora i modi civili e termini corrispondenti da esprimersi, supplisce la sincerità del cuore, com’ebbi occasione in quest’onorevole incontro col fatto più volte d’accertarmene" (pp. 139-141).