Arbe
“Arbe, latinamente Arbis, minore di circuito di tutte le altre, non istendendosi in lunghezza oltra miglia 20. dal luogo detto Sarigno alla punta di Grie; e in larghezza non più di tre miglia a Levante, e 8. a Ponente ov’è la sua maggior larghezza, e dove sono i tre seni di Campora, Valle S. Pietro, e Loparo. Plinio la chiama Arba, e gli Slavi Rab. […]. Due vasti boschi si trovano in essa; il maggiore è lungo 5. miglia, e chiamasi Capo di Fronde, il minore dicesi di Plogani copioso d’elci, bossi, e ginepri, servendo entrambi alle occorrenze del Comune, e de’ particolari ancora. La Repubblica altresì ne trae legnami per navigli. Vicino al primo evvi una buona cava di fini marmi bianchi, e colori con macchie rosse e gialle.
Tutta l’Isola dividesi in quattro Valli amene e feconde. La prima ha vaghi colli presso alla città, e chiamasi Paludo. Le seconda è quella di Campora con due seni di mare, e con vestigia di vecchie saline; […]. La terza Valle chiamasi di S. Pietro da una Chiesa di questo nome. Questa, che fu già Badìa di Cassinensi, ora appartiene alla Ducal Basilica della Dominante. La quarta in fine è quella di Loparo, in cui è un buon porto; ed essendo arata e piena di vigne, riuscirebbe dilettevole, se i suoi abitatori non vivessero all’uso de’ Morlacchi colle abitazioni disperse fra le macchie. […]. E questa è la parte piana dell’Isola. La montuosa, che ne occupa tutto il rimanente, nodrisce immenso numero di greggi, le cui lane ridotte in rascie, e in altri lavori, sono buon fondo di rendita per questi Isolani. Selvaggiume, e frutta quì sono in copia. Olio a sufficienza, seta non poca, e vino, e sale anche pe’ forestieri. Di biade ha quanto può bastare, e non più. Conigli, e cotorni in terra, e sgombri, e tonni in mare sono le sue delizie, e i fonti del suo traffico.
La città situata nella Valle di Campora, ha il porto capace d’ogni navilio che ristretto ad arte alla imboccatura, nè permette l’ingresso a più di un vascello per volta. Il giro di tutta la città è di passi 700., parte sull’erta, e parte in pianura. Conserva l’antico splendore del suo Vescovado con un Capitolo di dodici Canonici, e sei Sottocanonici. Il suo dignissimo Prelato di oggidì è Mons. Giovanni Calebotta nativo di Traù. Questa sede è suffraganea dell’Arcivescovo di Zara, e la sua Cattedrale porta il titolo di Santa Maria. La sua Diocesi contiene due Monisteri di donne Benedettine, uno di Francescane, e quattordici altre Chiese fra parrocchiali e minori, e più Monisteri di Francescani, fra’ quali in quello dedicato a Santa Eufemia coll’aggiacente nobil Tempio, si uffizia nella lingua nativa Illirica. Tutti gli abitanti uniti insieme non oltrepassano il numero di 3000” (pp. 399-402).