Ragusa
"Quest'oggi, 24 agosto, entriamo nel porto di Gravosa, da dove, con l'aiuto di una carrozza tirata da due piccoli cavalli croati, mi avvio alla soprastante Ragusa. L'aspetto del paese è ameno e bello: numerose ville si distendono per la via, corredate di giardini nei quali riconosco la palma. In certi punti la campagna mi rammenta la riviera di Genova o l'isola di Capri. La strada è piena di fanciulli erzegovesi che allegri vi salutano chiedendovi un soldo, o di bambine [...] che coperte di un cencio di camicia, con un berretto rosso in testa ed un cartolare sotto il braccio, s'avviano a scuola (p.37). [...] Ragusa alla quale son giunto, e che mi accingo a percorrere subito, è decisamente una graziosa città: pulita e con una bella e larga strada che la traversa tutta, fronteggiata da case di discreto stile italiano. Il palazzo de' Dogi [...] è assai vasto e bello. [...] Le chiese vi abbondano (p.38). [...] E non è qui che si arresta la mia ispezione: penetro in mercato e mi ferisce l'occhio una singolarità. Tre distinti gruppi di donne, vestite in costumi diversi affatto l'un dall'altro, sono riuniti in vari punti della piazza e vendono pollame, uova, erbaggi, cocomeri e frutta (p.39). [...] Il caldo è oggi insopportabile a segno tale che qui a memoria d'uomo non se ne è provato uno così forte (p.40) [...] Continuo a visitare la città in tutti i suoi angoli, ed essa mi diviene sempre più simpatica, così per il suo carattere italiano, unito ad una scrupolosa nettezza la quale non si riscontra in tutte le parti della nostra penisola, come per i palazzi, per la svariata forma delle sue fortificazioni, e per la svariatissima popolazione che ne percorre le vie e le piazze, e che le dà aspetto singolarissimo (pp-43-44)".